Mostra

La forza della carta

Questa mostra è stata a lungo rinviata perché si è trovata fin dalla sua primissima fase organizzativa nella tempesta del Covid-19. Gli artisti invitati cominciavano già ad inviare le loro adesioni e le loro opere quando il crescendo della preoccupazione collettiva per la diffusività e pericolosità del nemico invisibile rendeva necessarie misure che riuscissero a contenere e a bloccare quella che di lì a poco sarebbe diventata una conclamata pandemia. Abbiamo così tutti vissuto la crudezza del lockdown, lo sconvolgimento dei nostri comportamenti e della nostra vita di relazione, espresso da un glossario col quale mai avremmo voluto avere dimestichezza, da isolamento a quarantena, igienizzazione, contagio, tasso di letalità, distanziamento, dosi vaccinali, lavoro e didattica a distanza…in attesa che la scienza ci aiutasse a frenare e sconfiggere l’avanzata del virus, che mieteva vittime innocenti tra sofferenze inenarrabili, restituendoci gradualmente l’antica socialità.

Anche il sistema dell’arte, pubblico e privato, è entrato nel vortice di questa bufera, patendo chiusure, inaugurazioni rinviate sine die, ingressi “contingentati”, con spiragli e restrizioni, anche per raggiungere i grandi centri culturali, a seconda della curva dei contagi e dei “colori” contrassegnanti le diverse regioni. E tuttavia, in attesa di un ritorno ad una normalità piena, il mondo della cultura e dell’arte ha cercato di reagire nei modi migliori possibili alla paventata débacle mettendo in piedi iniziative che mantenessero viva l’attenzione sulla produzione artistica e sui luoghi dell’arte e della cultura a dispetto della distanza fisica. Come la didattica a distanza ha supplito per ragioni di sicurezza all’impossibilità di tenere lezioni in presenza e come le aziende stanno rimodulando le modalità di svolgimento del lavoro, tra misto e a distanza, anche per quando la pandemia sarà sconfitta, così si è assistito nel campo dell’arte e delle iniziative culturali ad un uso massiccio delle risorse digitali, per far arrivare on line al maggior numero di persone una quantità enorme di materiali, dalle visite virtuali ai musei e alle mostre, alla fruizione di documentari riguardanti le più importanti collezioni, e così via dicendo, al punto che si è parlato (spero con una punta di ironia) di una democratizzazione della fruizione dell’arte, sia pure a distanza, indirettamente causata dal virus.

Indubbiamente, tutti i momenti di crisi sono superati da innovazioni più o meno profonde, e questo potrà avvenire anche per l’arte. C’è da porre però (anzi, da riproporre) una domanda, che riguarda soprattutto le arti visive, e, tra queste, quelle che fanno dei “valori tattili” dei materiali di cui sono costituiti la loro forza emozionale e comunicativa: è possibile modificarne il senso della percezione?. Una domanda non nuova, se appena appena torniamo indietro alle riflessioni (e alle risposte date in materia) di Walter Benjamin: “Anche nel caso di una riproduzione altamente perfezionata, manca un elemento: l’hic et nunc dell’opera d’arte – la sua esistenza unica e irripetibile nel luogo in cui si trova”… ”e si può dire: ciò che vien meno nell’epoca della riproducibilità tecnica è l’aura dell’opera d’arte”.

 La riproduzione e diffusione attraverso altri media dell’opera d’arte spesso aiuta a capire e vedere anche aspetti non immediatamente percepibili, ed ha sicuramente una funzione di stimolo a conoscerla dal vivo, ma è altro dalla sua percezione diretta. E di certo non determina la sindrome di Stendhal, a generare la quale è l’essere in situazione. Il digitale ci ha sicuramente consentito di partecipare, sia pure solo in maniera virtuale, a molti eventi artistici, o di colloquiare a distanza, impedendo l’isolamento totale, ma l’obiettivo deve essere appunto quello di aggiungere, specie in tempi eccezionali come quelli che viviamo, i nuovi strumenti di conoscenza a quelli già consolidati. Questo per evitare, in particolare per gli oggetti d’arte, una distanziazione da essi che li rende indecifrabili e poco comunicativi. Insomma, se all’hic et nunc di Benjamin associamo la riflessione di Marshall McLuhan che il messaggio (anche quello insito nell’opera d’arte) è costituito soprattutto dalla natura del medium utilizzato, si capisce bene che per alcune espressioni artistiche la loro fisicità, percepita qui ed ora, è indispensabile per esplorarne i più sottili contenuti. E direi che soprattutto nelle opere in carta l’assunto di MacLuhan trova una inequivocabile cartina di tornasole, perché ciascuna di esse è irripetibile ed ha una propria “aura” che può essere percepita solo dal vero. Accade così che il medium più fragile diventa anche quello più forte, perché quando la carta diventa opera assume carattere assorbente. Nel senso che non solo veicola il messaggio, ossia il contenuto, ma lo caratterizza. Insomma, assume carattere di “segno”, che rende indistinguibili, perché (con)fusi, contenuto e forma, o, per dirla con la terminologia della linguistica, significante e significato. Proprio la duttilità la rende forte, perché questa caratteristica, che vale per il foglio di carta industriale come per la carta fatta a mano, consente all’artista di poter fare di tutto, senza le limitazioni alla creatività che a volte hanno altri media più strutturati. E, per di più, può interagire con essi in maniera altamente creativa.

Sicché – pressoché esaurito il secolare ruolo di supporto per altri linguaggi, compreso quello artistico (arte su carta), che ha consentito alla carta di raccontare addirittura la storia dell’umanità e delle sue conquiste sul piano dei diritti (basta dire “Magna Carta” o “Carta Costituzionale” o “Carta di identità”, anche quando è elettronica, per capire quanto questo supporto sia stato importante, al punto da essere spesso espressione di metonimie, dove il contenente esprime o richiama tout court il contenuto) – sicché oggi, si diceva, la carta, anche sul versante dell’arte, diventa altro e cioè materia espressiva primaria che asseconda e caratterizza la creatività dell’artista.

Ecco l’importanza di una percezione dal vivo dell’oggetto artistico. Che vale ancor più per le opere d’arte in carta, perché i caratteri della carta sono tantissimi, a partire dalla sua genesi, dalle sue intime fibre, e solo una visione dal vero può farne percepire la preziosa varietà assicurando nel contempo una sinestesia, un coinvolgimento emotivo con quanto la manipolazione dell’artista è riuscita a coniugare per determinarne contenuti e forme. Perciò, tornando all’assunto iniziale, non potevamo darla vinta al Covid e optare per una mostra virtuale. D’altronde, avremmo contraddetto anche il titolo stesso della rassegna, TRACARTE, che esige appunto una immersione tra le carte, tra le carte diventate arte. E finalmente, sia pure con ritardo e con le dovute cautele contro un nemico invisibile e subdolo, è diventato possibile vedere dal vivo le opere di cui questo catalogo, altra bontà della carta, vuole essere testimonianza e soprattutto stimolo ad avere con l’oggetto artistico un contatto diretto. E anche gli artisti invitati, non solo italiani, molti dei quali già presenti nelle precedenti edizioni, hanno anche loro atteso che il “colore” delle restrizioni cambiasse e che giungesse finalmente il momento di far vedere le loro opere, riunite nella Rassegna, anche questa volta, non su di un tema particolare (non siamo a scuola) ma su una sostanza, la carta appunto, dalla quale far germinare in forme appropriate e nuove, idee, riflessioni, emozioni e anche, a volte, confronti ideali con altri media (penso al marmo) sul terreno del rapporto leggerezza/pesantezza.

Le opere esposte sono perciò significative del percorso di ciascuno degli artefici, ma consentono anche di capire, sulla base della diversa manipolazione o enfatizzazione dei caratteri specifici della materia, quanto sia ormai ampia la gamma delle variazioni stilistiche in atto a partire dallo stesso medium. Una “rassegna”, d’altronde, a questo deve puntare, a confrontare, storicizzare, e soprattutto individuare le novità estetiche e concettuali.

Tra le opere in mostra molti degli innumerevoli caratteri ed elementi costitutivi della carta emergono, e soprattutto incantano le sue modalità trasformative per incarnare il progetto dell’artista. A parete o in piano, arrotolata, tridimensionale e scultorea o piatta, liscia o grumosa, colorata o bianca, pura o impastata e confrontata con altri elementi, intatta o traforata, sottile o stratificata, povera e di uso comune o antica e preziosa come quella dei vecchi libri, nuova o riciclata e vissuta, essa assume una dimensione estetica sempre nuova e imprevedibile che il fruitore assorbe in uno al gesto creativo di ciascuno degli artisti e al suo universo poetico. Tra tagli, origami, assemblaggi, sporgenze, germinazioni, scavi, prendono forma mondi fantastici, gioiosi, ma anche vibrazioni segniche, quasi dinamica optical art, che, nella loro astrazione, aprono all’interiorità, e, ancora, manufatti che aiutano a capire e a denunciare sofferenze e precarietà esistenziali – inclusa quella determinata dal Covid – non solo dell’uomo ma della natura e di tutto ciò che ci circonda. Una materia viva, insomma, con la quale gli artisti possono tranquillamente essere al passo con il linguaggio dell’arte contemporanea e addirittura innovarlo. E le otto edizioni di Tracarte e le quattro di Rigorosamente libri, articolate nell’arco di oltre quindici anni, ci dicono che ci troviamo di fronte a una pratica artistica non effimera, nonostante la naturale deperibilità del medium, i cui esiti continueranno a sorprenderci per molto tempo ancora.

Gaetano Cristino

Gaetano Cristino